Saturday, 13 February 2016

Buon 2016 da Craig Warwick



Una storia per tutti voi da Craig Warwick

Ogni giorno è un giorno in più per amare, un giorno in più per sognare, un giorno in più per vivere. San Pio 

I rapporti che mi legano alle persone che  aiuto non partono sempre da storie a lieto fine. 
Avevo conosciuto Francesco all’epoca in cui sua madre era appena scomparsa:  disperato, aveva cercato il mio aiuto nella speranza di ritrovarla. La sua storia mi aveva colpito in maniera particolare, perché l’affetto di Francesco per sua madre mi ricordava molto il rapporto tra me e la mia. Le ricerche sono ancora in corso: ho trovato degli indizi importanti, ma la madre di Francesco non è ancora tornata a casa. 
Nel frattempo ho stretto una forte amicizia con i suoi familiari, persone simpaticissime che  tempo fa mi hanno invitato a Torre del Greco, in Campania, per passare qualche giorno di vacanza insieme. 
Non smetterò mai di ribadirlo: quando ci colpisce una tragedia è fondamentale non piegarsi, ma invece reagire con speranza e tenacia, aiutando insieme sè stessi e gli altri. La sera del mio arrivo mi portarono subito a cena nella zona del porto. 
A pochi passi dal molo, in una piazzetta movimentata, piena di chioschi e motorini, c’era il ristorante dove Salvatore e sua sorella avevano dato appuntamento a un amico, che arrivò pochi minuti dopo di noi a bordo di una Land Rover blu: era Luigi, un tipo grande e grosso, simpatico e sanguigno che lì al porto tutti sembravano conoscere e benvolere.
Anche il proprietario del ristorante ci accolse con mille cerimonie. 
Ecco, ci risiamo, pensai! Non fraintendetemi: sono contentissimo della notorietà che ho ottenuto con la televisione e il libro.
 Grazie a questo il numero dei miei amici è aumentato di molto... ma,  ahimè, anche la circonferenza del mio girovita. Quando vado al ristorante, i cuochi preparano sempre qualcosa in più rispetto a quello che chiedo: «È per gli angeli!», dicono. Uno di loro ha persino battezzato una pizza “Craig”. 
Una margherita con parmigiana di melanzane: deliziosa. Se non sapessi che si tratta di dimostrazioni d›affetto, le prenderei come un attentato alla mia linea! Quella sera Luigi mi prese subito di mira; certo, scherzosamente.
 Aveva sentito  da Salvatore del  mio dono e iniziò subito a prendermi in giro. Basti sapere che al momento delle presentazioni esordì con un «Piacere, Luigi. Sei tu che parli con gli angeli, vero? E senti, me lo vuoi fare un piacere? Chiama san Paolo, e senti un po’ se ci può mandare un bell’angelo allo stadio suo per il nostro povero Napoli!». Insomma per quella sera fui il suo bersaglio preferito. 
Questo naturalmente quando non era fuori, a fare avanti e indietro nella piazzetta del ristorante, con l’orecchio attaccato al Blackberry per risolvere questioni di lavoro. 
«Finire un discorso con Gigi è una cosa impossibile», mi disse Salvatore a tavola, dopo l’ennesima telefonata ricevuta dall’amico. 
«Quello lavora pure mentre dorme.» 
Era un uomo pieno di energia, tanto da chiamare a fine cena “mummie” i miei ospiti, che avevano appena declinato la sua proposta di una passeggiata. 
«Qua ci sta troppo casino», diceva. «Craig, almeno tu, che sei giovane! Vieni che ti porto un po’ in giro io,  altro  che  questi  qui»  e  mi  prese  sottobraccio,  e mi  fece  entrare  in  auto.  «Ah, ora  ti porto giù alla litoranea, vedrai che pace! Ci facciamo una bella camminata, respiriamo un poco di aria buona e se abbiamo voglia ci prendiamo pure un gelato, eh? Che gelato mangiano gli angeli, nocciola santità e panna? Ah, ah, ah! Comunque, quello che prendono loro lo prendo pure io.» Oramai ero rassegnato a  quello scherzo  continuo, Luigi  era  un buono: tanto valeva divertirsi e passare una bella serata. «Anzi no, mò che mi ci fai pensare ti devo raccontare una barzelletta troppo bella, tanto tu non è che ti offen di?»  E senza aspettare la mia  risposta attaccò: «Allora, ci stanno gli angeli e i diavoli nel Purgatorio che stanno facendo una partita di pallone. 
Il mister degli  angeli  è  Gesù  e  quello  dei  diavoli  è  Lucifero.
 Mi segui? Allora, questa partita è noiosa assai, giocano tutti mosci, è tutto un rimpallo e nessuno mette mai in porta. Insomma, come ti devo dire, manca fantasia, del resto questi non è che tengono un campionato vero e proprio e allora gli manca un po’ lo stimolo.»
  Il  telefono  di  Luigi  squillò  per  l’ennesima volta: un’altra telefonata di lavoro. Ne approfittai per ammirare un po’ il paesaggio: le stradine trafficate stavano lasciando il passo al litorale, e il vento che entrava dal finestrino profumava piacevolmente di salsedine. 
Tornai a guardare verso Luigi, ancora occupato al telefono, e notai immediatamente una forte luce alle sue spalle. Un angelo si era avvicinato a lui, e quando si chinò a baciarlo sulla fronte vidi che si trattava di una donna. Prima di dirglielo aspettai però che fermasse la macchina: questo non è il genere di rivelazioni da fare a qualcuno che si trovi alla guida.
Una volta scesi dall’auto, ci incamminammo per il lungomare del paese, godendoci la dolce brezza e il fantastico panorama del Golfo di Napoli. 
«Mò è tutto scuro e non si vede niente, ma domani fattici riportare, mi raccomando, che se è una bella giornata da qua si vedono le isole.
 Là a sinistra, verso Sorrento, c’è Capri; a destra invece, verso Napoli, c’è Ischia.» 
Mi godevo il silenzio interrotto solo dal rumore delle onde, le mille luci del mare illuminato dalla luna, la bellezza selvaggia della sabbia lavica, nera come la notte con cui si  confondeva.  
«E insomma, non t’ho finito di raccontare la barzelletta!» ricordò Luigi. «Allora, la partita andava male, senonché a un certo punto…» «Salvatore» lo interruppi, «devo dirti una cosa. Mentre eravamo in macchina, ho visto un angelo avvicinarsi a te e darti un bacio sulla fronte». Non mi illudevo di convincerlo al primo colpo. E infatti Luigi si lasciò andare a una bella risata e mi disse «Come no, Craig, come no. Ma perlomeno era una bella donna? No, perché io sono fidanzato, eh, non mi espongo se non ne  vale  la  pena…»  L’angelo  si  distingueva  sempre meglio, ora riuscivo anche a vedere chiaramente i tratti del volto ed ero certo che la somiglianza con Luigi  non  fosse  un caso: doveva essere sua sorella o sua madre, ma poiché gli angeli non hanno età non era facile capirlo. Fu il gesto a darmi l’indizio giusto. 
«Ha  i  capelli neri  raccolti  in una crocchia e  gli  occhi verdi», dissi, e continuai: «Indossa uno scialle per coprirsi la schiena perché dice che l’aria di mare le fa venire i brividi. Luigi, è tua madre, vero?» Lo vidi serrare i pugni e stringere le mascelle. 
Mi guardava  con  gli  occhi  spalancati,  come  se  avesse paura anche solo di parlare, lui che era così chiacchierone. Girò le spalle di colpo e sferrò un pugno al muretto. Aveva ancora la faccia rivolta verso il mare quando cominciò a parlare. «Nemmeno d’estate riusciva a liberarsi di quello scialle.» Tornò a guardarmi: aveva gli occhi pieni di lacrime. L’angelo era di nuovo lì, e gli accarezzava dolcemente un braccio.  «Che  ti  ha  detto?»  Sembrava  quasi  arrabbiato, anzi addirittura furioso, ma sapevo che non si trattava di vera ira: camminare nervosamente, dare un calcio a una bottiglia lasciata per strada, quello era il suo modo di reagire a una notizia così scioccante. «Calmati, Luigi. Tua madre dice che non c’è bisogno  di  stare  male,  che  lei  è  in  pace  e  devi  smetterla di tormentarti. 
Ha sempre saputo che le volevi bene, di questo non devi dubitare mai.» Si prese la testa  tra  le  mani  e  sospirò  forte:  le  lacrime  gli  scivolavano lungo le guance. 
Un uomo apparentemente fortissimo, amato e rispettato da tutti, si abbandonava per la prima volta da chissà quanto tempo a un pianto liberatorio. «Non è vero… dice così perché mi vuole bene, e non mi vuole vedere soffrire… ma  io  lo  so  di  essermi  comportato  male.  
Ci  passavo poco e niente da casa sua, anche se abitavamo sullo stesso pianerottolo. Forse anche per quello, mi dicevo, se ha bisogno di qualcosa mi chiama… ma mia mamma era forte, non voleva dare disturbo a nessuno, anzi quando parlava di me alla gente dovevi vedere, che orgoglio! Il figliolo che lavora come un asino e raggiunge la posizione importante… quando si è ammalata è stato ancora peggio, non sopportavo di vederla così, e quindi ci andavo ancora  di meno. 
E  la  cosa brutta  era che  lo sapevo, che  dovevo  starle  più vicino.  Ma sai  come  vanno queste  cose,  dall’azienda mi chiamano in continua zione, non vedevo neppure la mia fidanzata… lo so, sono tutte scuse.
 Mi sento un verme.» Era inconsolabile, provai a ripetergli che sua madre non ce l’aveva con lui, ma non servì a molto. Continuò: «Aveva un solo desiderio. Era devota a Padre Pio, e mi chiedeva di accompagnarla a San Giovanni Rotondo. 
Io ce la volevo portare, ma poi dovevo rimandare ogni volta per un impegno diverso. E lei zitta, non mi faceva pesare mai niente, ci credeva ogni volta che le dicevo mamma, ti prometto che la settimana prossima, il  mese prossimo…» Continuava a gesticolare, era tutto rosso in viso. «Luigi, ora ascoltami» lo interruppi, «te lo ripeto: tua madre sta bene dove si trova e non dà nessun peso a quella promessa che non sei riuscito a mantenere.» Bisognerebbe solo imparare da esseri tanto più saggi di noi: come gli angeli, non dovremmo lasciarci travolgere dalle minuzie, ma pensare a ciò che è veramente importante. Ma Luigi era stanco e affranto, e aveva solo voglia di tornare a casa. Il senso di colpa è difficile da sconfiggere, anche se non serve a nulla. Macerarsi pensando agli errori commessi ieri è inutile, ma anche molto umano: a chi non è capitato? A volte vorremmo riavvolgere il tempo della nostra vita come se fosse il nastro di un film e una volta tornati in quel momento  cruciale  cambiare  qual  piccolo  particolare a cui abbiamo pensato così intensamente da sapere alla perfezione cosa avremmo dovuto fare. E da lì tutta la nostra vita, ci sembra, potrebbe ripartire più giusta, più bella, più felice. 
Ma purtroppo la vita è una sola e l’unico modo che abbiamo di riparare i torti del passato è fare tesoro di quegli errori per cercare di non commetterli di nuovo, guardando in avanti anziché indietro. 
Certo, non è facile: i rimpianti sono incancellabili. Eppure basterebbe vederli da una prospettiva diversa, considerandoli una possibilità per imparare e non una fonte costante di rimprovero. Camminammo per qualche minuto in silenzio, forzarlo a parlare sarebbe stato dannoso. 
Con un po’ di buona fortuna, nei giorni successivi avrebbe ripensato a quanto accaduto e piano piano avrebbe trovato in sè la forza di perdonarsi. Ci avviammo verso la macchina, parcheggiata sull’altro lato della strada rispetto al mare, ma alle strisce ci fermammo per lasciar passare un grande tir appena sbucato da un ponte. Lo vedemmo arrivare, e i nostri sguardi furono catturati da qualcosa che lasciò entrambi a bocca aperta: la fiancata era interamente occupata da un enorme ritratto di Padre Pio. 
L’autotrasportatore doveva essergli molto devoto, questo  era  sicuro.  
Rallentando  per  via  della  curva, ci mostrò perfettamente l’immagine del viso severo ma compassionevole del frate. Restammo immobili a guardarlo sparire lungo la litoranea. Sembrava la scena di un film: in quella splendida notte estiva e con lo sfondo del mare, quell’immagine acquistava ancora più potenza.

 Neanch’io riuscivo a crederci, eppure so che gli angeli sono capaci di gesti strabilianti. La madre di Luigi aveva trovato un modo spettacolare per mandare un messaggio al figlio: sapeva che quello era l’unico modo per convincerlo che il dolore, il rimpianto, la tristezza non solo erano inutili, ma rischiavano di rovinargli la vita. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, ancora increduli. 
Poi gli dissi: «Be’, cos’altro vuoi per liberarti dal rimorso? Non hai portato tua mamma da Padre Pio e dunque lei ha trovato un modo per far arrivare Padre Pio da te». Luigi mi guardò, e finalmente nel suo sguardo tornò a balenare lo spirito bonario che lo contraddistingueva. «Ti ho preso in giro tutta la sera. Mi devi scusare. Ti posso offrire un gelato? Nocciola, santità e panna?» In macchina restammo a lungo in silenzio. Dalla dolcezza negli occhi di Luigi intuivo che stava ripensando a sua madre, ai teneri ricordi che il suo messaggio aveva risvegliato. 
Il telefono squillò ancora una volta: lo guardò illuminarsi e vibrare, ma non rispose. «Ma insomma, sono le undici di sera, cosa pensano, che non abbia una vita? Ho di meglio da fare che riempirmi la testa di problemi. Anzi, m’ero scordato, devo finire di raccontarti la barzelletta! Allora, a che eravamo?» Scoppiai a ridere. «Dicevi che la partita era noiosa», risposi. «Ah, sì, giusto! Non si vedeva un goal. Senonchè a un certo punto, allo scadere del secondo tempo, san Gennaro stoppa di petto  e passa la palla a  san Filippo, il  quale si  fa  prendere  dall’entusiasmo  e  inizia  a  dribblare tutti gli avversari, arrivando solo in area. Di fronte  a  lui,  un  diavolaccio  prova  a  fermarlo con tutti  i mezzi possibili, ti dico, fallosissimo, ma san Filippo oramai è lanciato, non lo ferma più nessuno, con un  gioco  incredibile  di  gambe  dribbla  anche  quello, prende la mira, tira e… PALO!! ‘Mannaggia a…’ comincia a urlare disperato, ma Gesù subito lo interrompe: ‘FILÌ!! E INSOMMA!’ e gli si avvicina arrabbiatissimo, con fare minaccioso. ‘Uh, Gesù, scusami, perdonami!! Ti giuro, non stavo per bestemmiare, mi devi scusare…’ gli fa san Filippo. E Gesù: ‘Ma che dici! Filì,  ma tu hai  capito che goal ti sei mangiato???’» Scoppiò nella sua risata piena e allegra: Luigi era tornato quello di sempre, l’uomo amabile che sua madre aveva sempre compreso e al quale sarebbe stata sempre vicino. 

Craig Warwick

Friday, 12 February 2016

Tutti quanti abbiamo un Angelo...... Craig Warwick & Caterina Balivo

Introduzione di Caterina Balivo 

Era  un  pomeriggio  di  ottobre  di  tre  anni  fa,  stavamo  per andare  in  onda,  era  il  quinto  anno  di  Festa  Italiana... Quel  giorno  insieme  a  me  sarebbe  entrato  nelle  vostre case  un  personaggio  strano,  londinese  e  con  una  storia tutta  particolare.  Dall’età  di  sei  anni  parlava  con  gli  angeli! Ero  curiosa  di  conoscerlo,  e  ancora  di  più  quando  poco prima  della  diretta,  già  in  studio  a  microfoni  accesi,  mi disse,  guardandomi  con  un  tenero  sorriso:
  «Ai  tuoi  angeli piace  molto  quando  fai  la  doccia».  Un  operatore  spavaldo aggiunse:  «E  te  credo!».  Io,  imbarazzata,  non  riuscivo  a tenere  a  freno  la  mia  curiosità.  Coprii  il  microfono  con la  mano  e  dissi  a  questo  tipo  dagli  occhi  giallo-verdi: «Ma perché?». Lui  mi  rispose:  «Perché  dopo  che  ti  sei  asciugata  con l’accappatoio  ti  spalmi  la  crema,  mettendoti  di  lato  davanti allo specchio e partendo dal sedere...». 
Tutta  rossa  andai  al  centro  dello  studio  per  cominciare la diretta! Quella  puntata  fu  molto  forte,  il  pubblico  adorò  la storia  di  Craig,  la  sua  infanzia  con  gli  angeli,  il  suo  lavoro gratuito  con  l’FBI,  l’errore  giudiziario  di  cui  fu  vittima, il  suo  incontro  con  Lady  Diana  e  l’avvertimento  che  le diede,  i  continui  messaggi  che  gli  angeli  gli  trasmettono... E  molti  di  voi  hanno  beneficiato  di  questi  messaggi  (io mai,  perché  mi  continua  a  ripetere  che  i  miei  angeli  sono in  sciopero!).  
La  sua  vita  è  pazzesca,  i  suoi  consigli  sono importanti,  molti  di  voi  spesso  si  sono  affidati  a  lui  e  a me  per  raccontare  le  storie  più  intime...  ora  è  lui  che, con  questo  libro  scritto  a  quattro  mani,  vuole  affidarvi la  sua  vita,  dolorosa  e  intensa  ma  sempre  circondata  da angeli e quindi speciale. Buona lettura!
 Ps.  Dal  giorno  del  nostro  incontro  la  crema  corpo  non la  metto  più  allo  specchio  e  parto  dalla  caviglia.  Ma soprattutto  da  quel  giorno  ho  un  amico  speciale  che  si chiama Craig.


Craig Warwick & Caterina Balivo